«Il parcheggio davanti all’ufficio in cui lavoravo in quel periodo aveva un unico senso di percorrenza.
Non che non fosse particolarmente angusto, anzi, è che nessuno rispettava gli spazi; era sempre un gran caos.
Per risolvere il problema dei frequenti incastri, l’amministrazione aveva imposto il senso unico, e i risultati si erano visti da subito: meno traffico, meno litigi, meno incidenti…meno caos, appunto.
Quel giorno ero uscito più presto del solito – era l’una meno qualcosa e avevo fatto solo cinque ore e trentasei delle sei che avrei dovuto – e ultimamente capitava spesso: arrivavo il prima possibile, scappavo il prima possibile, e nel mezzo cercavo di fare quello che pensavo avrei dovuto fare. Il prima possibile.
Quel giorno un furgone era entrato dall’uscita e la bloccava.
Non sapeva che fare: davanti aveva auto incastrate in doppie, terze, quarte file, e dietro la strada trafficata.
Proprio in quel momento raggiungevo la mia – diavolo se era sporca – parcheggiata circa a metà tra ingresso e uscita.
Capii subito che il furgone aveva fiutato la soluzione al suo problema ma preferii non affrontare la questione: per prendere il mio posto, lui avrebbe dovuto percorrere un pezzo in contromano e io, a mia volta in contromano, sarei dovuto uscire dall’entrata. Impensabile.
Misi la retro più che deciso a puntare l’uscita ma, incontrato lo sguardo del furgone oramai a ridosso, virai sulla gentilezza: nel parcheggio non c’erano auto in movimento e l’ingresso pareva libero; in fondo il tragitto da fare in contromano sarebbe stato breve.
Percorsi giusto un paio di metri, comparvero inesorabili una jeep e un furgoncino bianco. Alla mia sinistra, auto, alla mia destra, auto, dietro di me, auto e un furgone in manovra, davanti a me, auto incalzanti. Era fatta.
Vidi le due nuove entrate, giustamente ignare della situazione (il furgone nel frattempo sembrava stare compiendo un’innocente manovra di parcheggio), prima agitarsi e poi proseguire con tanta arroganza quanta ragione per quella che era la direzione corretta, evitando accuratamente di agevolare il mio passaggio.
Sommerso da silenziose invettive e sensi di colpa, cercai io di agevolare il loro stringendomi sulla destra, finendo così a strisciare contro la Polo del buon Gamberoni.
Stridio, bel gibollo sulla sua, bel gibollo sulla mia.
Sconfitto, ho improvvisato un’inversione e sono uscito da dove sarei dovuto fin dall’inizio.
Spesso il confine tra gentile e fesso è piuttosto labile, una linea sottile.
Contrariamente a quella sulla fiancata di Gamberoni.»