Ho un’auto nuova.
Cioè, non proprio nuova: l’ho presa da un ragazzino delle valli – che a sua volta l’aveva presa da una tizia della città che l’aveva presa da un altro tizio della città – che la usava per fare i freni a mano sulla neve nei fine settimana.
In settimana no, in settimana lavorava all’estero.
La macchina mi piaceva e lui mi sembrava un bel tipo, non mi serviva altro.
Poi mi ha fregato sul bluetooth, sulle gomme e su un paio di altri cavilli, ma questa è un’altra storia.
Ho un’auto nuova.
La precedente mi aveva abbandonato a centosessantanovemilatrecentodiciotto chilometri. Ottantamila e rotti in meno di quelli che speravo.
All’inizio volevo ricomprare lo stesso modello, poi ne ho parlato con Osvaldo ed è bastato a convincermi a puntare quella del ragazzino delle valli.
Cioè, non proprio: Osvaldo avrebbe puntato a una familiare coreana vecchia di vent’anni e avrebbe speso molto meno, ma questa è un’altra storia.
Considerato il budget e considerato il fatto di essere comunque riuscito a farmi fregare su più fronti, avevo raggiunto un buon compromesso.
Poi è iniziato a girare qualche soldo in più ed è finito l’inverno.
Montavo le gomme invernali che avevo comprato letteralmente con gli ultimi spiccioli del mio conto: una sottomarca sconosciuta ma “comunque più che dignitosa”, aveva detto Gracco.
Gracco è il mio gommista.
Cioè, non proprio: non si chiama davvero Gracco ma lavora in un posto chiamato “Gracco Gomme”, e dunque lui era automaticamente diventato Gracco e i ragazzi che ci lavoravano i suoi figli.
Il posto non era suo e i ragazzi non erano figli suoi – oltretutto non gli assomigliavano per niente – ma questa è un’altra storia.
È finito l’inverno, dicevo, e girava inspiegabilmente bene col lavoro, dunque ho deciso di regalarmi delle gomme estive più che più che dignitose.
Ho aperto l’Internet, del quale ero esperto marinaio, e ho subito individuato una serie di modelli consigliatissimi, raccomandatissimi, in offertissima e a casa mia in pochissimi giorni.
Poi però ho pensato a Gracco e ai suoi figli e mi sono detto che no, proprio non potevo, e dunque sono andato da Gracco Gomme.
Mi è sempre piaciuto andare dal gommista, soprattutto per quell’odore di pneumatici (ne vado matto), ma anche per i rumori trapananti dei macchinari che usano e il tono cordiale delle conversazioni.
– Salve Gracco – ho detto a Gracco, e Gracco non aveva risposto perché, appunto, non era Gracco.
– Dovrei comprare delle gomme, ha tempo?
– Solo se è una cosa rapida.
– Vorrei delle gomme: le vorrei sicure, durature e, soprattutto, più che più che dignitose.
– Dunque, fammi vedere…più che più che dignitose posso darti le pirelli, oppure le briggeston, oppure saliamo ancora e ci sono le mishlèn.
– Lei quali mi consiglia?
– Mah, sono tutte buone, poi vabé le mishlèn hanno quel qualcosa in più delle altre, ecco, sì..
– Va bene, stiamo sulle Michelin.
– Mishlèn, bene, bene, vediamo cosa ho in casa, ecco, mettiamo le pìlot, viene questa cifra qui.
– Perfetto.
– Ok, calcoli un’oretta, un’oretta e un quarto ed è pronta – aveva concluso Gracco passando di colpo al “lei” cui evidentemente i clienti mishlèn hanno diritto.
– Va bene, sarò qui fuori sulla panchina a leggere – (non l’ho detto ma Gracco Gomme era fronte lago, il che contribuiva parecchio a renderlo il mio gommista di fiducia)
– Ottimo, mi dice il suo cognome?
“Quindici anni che vengo, quindici anni che mi chiede come mi chiamo. Possibile che in tutto questo tempo uno non faccia lo sforzo di capire chi è la persona con cui ha a che fare?” mi sono chiesto mentre uscivo dall’officina salutando Gracco e i suoi figli.
Poi niente, io e l’auto nuova con le pìlot abbiamo fatto un lungo viaggio, perfettamente ancorati al terreno e alla scoperta di nuovi meravigliosi colori.
Però questa è un’altra storia.