Guerra e pesce

15 maggio 2022

Quella sera andammo di nuovo al sushi.
Non ci ero mai andato volentieri, con lei però era tutta un'altra cosa e dopo un po' aveva persino iniziato a piacermi.
Il locale non mi ispirava per niente: si affacciava su una rotonda e di fronte una ciminiera scura sbuffava di continuo sul cielo, quasi a volerlo sporcare di proposito. L'odore della nube era nauseante ma si percepiva appena sullo sfondo di un fritto misto in olio mai sostituito.
«Il pesce lo abbattete?» avevo chiesto, sentendomi rispondere che certo, mica mi davano pesce ancora vivo.
Mi piaceva quel posto, avevano senso dell'umorismo.

- Perchè ci hai messo tanto? - mi chiese.
- Scusa, la lavatrice, mancava un minuto.
- Sei in ritardo di quarantacinque.
- Il minuto ne è durati ventidue, poi ho dovuto stendere. Era pure tutto fradicio.

La lavatrice era di mia sorella, me l'aveva lasciata perché nella casa in cui si era spostata ce n'era già una. Era di quelle riescono ad andare d'accordo anche con un uomo, probabilmente perché ne condivideva l'inaffidabilità. Gli ultimi minuti erano eterni. Mia sorella me l'aveva segnalato quando ero andato a prenderla: magari anche i dieci anni di garanzia seguono quella stessa logica, le avevo risposto.
Sta di fatto che a quella maldestra organizzazione del tempo avevo aggiunto la mia, e nei giorni di bucato ero diventato ancora più ingestibile.

Beige e nero erano i miei colori di riferimento in quel momento. Si chiamano naturale, bianco sporco insisteva lei, ma per me erano e restavano declinazioni del beige. Sul nero eravamo tutti d'accordo.
Nere o beige le magliette, nere o beige le camicie, nere o beige le scarpe, nero e beige il cane, nera la sedia e beige il mouse. Più bianco sporco che beige il mouse, in realtà, però perché era bianco ed era sporco. Nero il tavolo, beige il soffitto, nero il mondo e beige i miei pensieri. Bianchi sporchi, come il mouse e il cielo sopra la ciminiera.

- C'è la guerra - le dissi.
- C'è sempre la guerra da qualche parte nel mondo, non pensarci - rispose prontamente.
- Sì ma questa è dietro casa.
- Dobbiamo per forza parlarne?
- Si chiude una parentesi e se ne apre un'altra, non ti preoccupa?
- D'accordo, vuoi parlarne. Allora di chi è la colpa, secondo te?
- La colpa di cosa? I popoli sono persone e le persone sono persone. Ognuno guarda al suo. La guerra poi concentra il potere nelle mani dei più propensi ad abusarne, ma questi sono più conseguenza che causa. Il resto è narrazione e distruzione, di vite e di tutto ciò che le circonda.
- Il bene e male che non esistono, lo so, ne parliamo sempre.
- È una delle letture possibili.
- Non ci devi pensare, ti fa male. Un male che esiste.

Una parentesi di un paragrafo fortunato di un qualcosa che pensavamo favola ma che in realtà era Storia, non riuscivo a non pensarci. E se davvero si stava chiudendo? Proprio non ci riuscivo.

Al tavolo di fianco erano arrivati in sei. Teste rasate sui lati ma non sulla sulla cima, sfumature e maleducazione, il più brillante dei sei che chiedeva alla cameriera come si dicesse in cinese sei bellissima. Lei non capiva, loro ridevano, se n'era andata tra l'offeso e l'umiliato. Avrei voluto spiegarglielo che erano loro quelli che non capivano, ma non avrebbero capito.

Ad un altro una coppia sulla cinquantina si alzava per andarsene. Lui aveva i nomi dei figli tatuati sull'avambraccio, lei gli stivali rosa con le borchie. Si erano detti dieci parole in un'ora e mezza.

- Secondo me lei non era la moglie, cioè non quella con cui ha fatto i figli - mi disse leggendomi.
- Secondo me invece sì: stanno insieme da sempre e nel frattempo hanno finito le cose da dirsi.
- Dici che potrebbe succedere anche a noi?
- Non credo proprio.
- Nemmeno io, però secondo me non era la madre.
- Io non lascerei una moglie per mettermi con una alla quale non ho niente da dire. Tanto vale restare sposati.
- Non saprei, non mi vuoi sposare.
- Perché ho tante cose da dirti.

Ce ne andammo anche noi, il cielo era oramai nero, la ciminiera continuava ma non era tutto merito suo. Il locale era pieno.
I fari dell'auto non funzionavano, il viaggio l'abbiamo fatto tra i lampeggi delle doppie frecce e quelli di chi ci sorpassava. Fortuna che è bianca, aveva detto lei, almeno ci vedono. Bianca sporca, volevo dire io, ma era quella del lavoro e quelle del lavoro non le lava mai nessuno.

- Preferisco venire in settimana, c'è meno gente.
- Anch'io, è più intimo.

La notte ci misi un po' ad addormentarmi. Guerra e pesce, faceva molto caldo per essere maggio. Anche lei aveva caldo, si capiva, dormiva già da un pezzo con una gamba fuori dalle coperte.
Bianche le coperte, nera la notte. E se erano sporche? Magari l'indomani avrei fatto una lavatrice.