Il dottor V

27 marzo 2011

Tratto una storia vera quasi del tutto.

L’appuntamento è per le otto di giovedì ventinove marzo.
Sono mesi che non vedo il mondo a quell’ora e non so se sono ancora capace di farlo.
Ciononostante, è giovedì mattina, sono le setteecinquantatré e sto suonando il campanello di via XX Ottobre 12.

“Sì?”
“Sono Giordano Mela”
“Ah, bene, sa già dov’è lo studio?”
“A dire il vero no”
“Prenda la scala alla sua sinistra, venga al primo piano seminterrato, il meno uno, lo studio è a sinistra quando esce dall’ascensore”
“Grazie”
“Prego”

Faccio poco caso all’arredamento dello studio, c’è un sacco di legno ma magari lo guardo meglio dopo, mi concentro sull’ometto che mi viene incontro.
È sulla sessantina, pochi capelli, baffetti e camice bianco, sguardo attento.
“Si accomodi, si accomodi, come ha detto che si chiama?”
“Giordano Mela”
“Anni?”
“Venticinque”
“Bene, Giordano Mela, mi dica un po’”
“Circa un mesetto fa ho iniziato ad avere dei dolori alla gola qui” dico indicando un punto della sciarpa che indosso.
“Si tolga la sciarpa”
“Ah, scusi, subito”
“Prego”
“Circa un mesetto fa ho iniziato ad avere dei dolori qui, il mio dottore generico, il dottor J, mi ha inizialmente prescritto l’OKI, un antidolorifico, per qualche settimana tutto ok, poi improvvisamente il dolore si è ripresentato e ho avuto febbri forti per qualche giorno, tipo trentanove e otto, quindi ho risentito il mio dottore generico, il dottor J, che mi ha prescritto l’Augmentin, un antibiotico; ora il dolore forte è passato ma sento ancora come se ci fosse qualcosa..”
“Ha preso freddo prima che la cosa iniziasse?”
“Potrebbe essere. Ah, e prima di avere le febbri sono stato in maglione a Taceno”
“Lei fuma?”
“Ogni tanto”
“Beve”
“Di rado”
“Bene. Venga di là con me”

Di là c’è una stanza plasticosa, senza legno, con una scrivania, uno sgabello, una poltrona e una cassettiera coi ferri del mestiere, un computer, un sacco di macchinari ai quali non saprei dare un nome, una specie di cabina del telefono insonorizzata all’interno della quale si intravede una sedia e dei quadri con dei disegni della Lecco che fu.

“Mi servirebbero alcuni dati per il computer, come ha detto che si chiama?”
“Giordano Mela”
“Data di nascita?”
“Diciottomarzomillenovecentocinque”
“Grazie”
“A lei”

Mi accomodo sulla poltrona e Tonino, non l’ho detto ma il dottore si chiama Tonino V, inizia a frugare tra i cassetti della cassettiera dei ferri del mestiere.
Estrae appunto una serie di ferri del mestiere: una paletta per schiacciare la lingua, una pinza per allargare il naso e una vaschetta in cui appoggiare il tutto, una volta utilizzato.
Segue una serie di “Faccia eeeeee”, “Deglutisca” e “Guardi in alto”, accompagnata da alcuni “Ah, com’è infiammata”, “Oh, bene bene” o altri commenti simili.

“Ora io e lei faremo un giochino..”, pausa, “..non si fidi mai di un dottore che le propone di fare un giochino”
“Ah, bene”
“Ora le infilerò questa cannuccia nel naso e dal naso arriverò alla gola, voglio vedere cosa succede là sotto”
“Ah, bene”

Cannuccia nella narice destra. Foto.
Cannuccia nella narice sinistra. Foto. Giù nella gola.
La cannuccia è attaccata a un aggeggio simile a un manico di racchetta da tennis ma tecnologicamente più evoluto, che a sua volta è attaccato a un pedale col quale Tonino scatta le foto, pedale che a sua volta comunica con un computer sul quale finiscono le foto e i video fatti con la cannuccia.
La sensazione è metallica e spiacevole, Tonino però è entusiasta, scatta foto e mi invita nuovamente a deglutire o emettere vocali; io sono tranquillo, nonostante una cannuccia metallica stia passando dal mio naso alla mia gola (lo so dalle medie che il naso comunica con la gola, però cazzo un conto è saperlo da un libro, un altro è sperimentarlo di persona, sopratutto se di mezzo c’è una cannuccia metallica) e nonostante il fatto che io stia dando fiducia ad un dottore che mi ha chiesto di fare un giochino dicendomi di non dare fiducia ai dottori che ti chiedono cose del genere.
Tonino rimuove la cannuccia con un gesto rapido, mi sembra quella cosa che si fa con gli spaghetti quando li vuoi risucchiare ma al contrario, non proprio la migliore delle sensazioni.
Però è finita, e Tonino ha tutte le risposte.

“Lei ha rotto il naso, vero?”
“No”
“Comunque qualcosa le ha deviato il setto, vero?”
“Può essere, di colpi ne ho ricevuti”
“Ora, io faccio parte di quella categoria di dottori che non sa spiegare una diagnosi in termini non tecnici. Quindi, a meno che il mio interlocutore sia un collega, mi aiuto disegnando”
Rido, che tipo.
“Allora, questo è il naso, di fronte” dice disegnando un triangolo che in effetti somiglia a un naso di fronte, “qui ci sono gli occhi, qui c’è l’ugola, qui ci sono i ……… (termini tecnicissimi che non ricordo), dei würstelini insomma, questa è la lingua e qui arriviamo alla gola. Il tubo dell’aria inizia qui ed è più stretto della gola, quindi c’è una zona di agio che eccetera eccetera”
Il quarto d’ora successivo è un’avvincente serie di disegni di nasi di fronte e nasi di lato, di ugole, corde vocali, aria, lingue ed epiglottidi, e funziona, capisco più o meno tutto e potrei quasi dare un verdetto: a causa di una deviazione del setto nasale e della mia allergia, si accumula del muco in eccesso nelle zone di agio tra gola e tubo dell’aria (che probabilmente non si chiama proprio così), quindi quella zona si incazza e succedono cose.
Oltre a questo, scopro che:

– la mia ugola è lunghissima
– la mia lingua è grossissima nella parte bassa, l’epiglottide la tocca anche se non dovrebbe ed è “strano che lei non abbia mai avuto problemi del genere prima di oggi”
– il mio setto nasale è storto
– “probabilmente lei di notte russa”
– l’antibiotico che ho preso non è servito a un cazzo se non a farmi venire i brufoli, a sistemare l’incazzatura della gola ci ha probabilmente pensato “madre natura”
– “lei ha avuto culo, ha rischiato l’ascesso”

Ci ri-spostiamo nell’ufficio principale, quello di legno che all’inizio avevo abbastanza trascurato.
La scrivania è da azzeccagarbugli, di legno e di sapore antico, su di essa c’è un discutibile portatile Packard Bell, anche quello di sapore antico, una stampante, degli organizer per i fogli, una tovaglietta in pelle e un foglio di bloc notes a righe sul quale sono annotati (male) gli appuntamenti della giornata.
È uno all’antica, il dottor V, lo capisco dal foglio, dal Packard Bell, dalla scrivania e da tutto il resto dell’ufficio, fatto di armadi e mobili, sempre in legno e perfettamente in tema con la scrivania.

“In ipofaringe si osserva a livello del seno piriforme sinistro un vistoso..” inizia a parlottare Tonino, scrivendo sul suo Packard Bell.
Ne approfitto per guardarmi intorno.
Libri, foto, laurea in medicina, disegni, trenini..uao, trenini.
Li guardo con attenzione, sono in una grande teca in vetro e legno in un angolo della stanza tutto dedicato a loro, hanno persino una lampada che li illumina.
“…persistere da un imponente drenaggio.. treni, visto?”
“Cazzo sì, sono bellissimi”
“Li facciamo da tre generazioni”
“Ah, li fa lei?”
“Li faceva mio nonno, che era bravissimo, poi mio padre e adesso io, hanno vinto un sacco di premi, sono un po’ matto io”
Si alza, gli occhi brillano.
“Anche suo nonno faceva il dottore?”
“Ah no no, mio nonno era prefetto di Venezia, c’era il fascismo. A quei tempi era vietato fare le foto ai treni, ma mio nonno era prefetto di Venezia e quindi poteva fare tutte le foto che voleva, e poi ha iniziato coi modellini. Guarda questo che bello” afferma indicandomi una locomotiva effettivamente bellissima, “questa ha vinto un sacco di premi, l’ha vista anche Re ……… (nomi storicissimi che non ricordo), oppure guarda questa, è la locomotiva che trovi nel film Schlinder’s List, l’hai visto? Guarda il logo nazista..”
“Ma quanto ci mette a farne una?”
“Quanto ci metto? Mesi e mesi, purtroppo non ho tanto tempo e o lavoro o faccio modellini, però collaboro con le Ferrovie dello Stato, se vai al museo della scienza e della tecnica ci sono delle bacheche che contengono modellini che ho fatto io o la mia famiglia” e prosegue spiegandomi la tecnica antica con la quale esegue le sue opere, basata su stampi di cera, tornio e altri dettagli che nell’entusiasmo fatico a cogliere, “guarda qui, questo è il manuale tecnico delle locomotive delle FS, quello ufficiale, gli stampi li preparo seguendo questi dettagli”
“Immagino vada anche a qualche raduno di appassionati”
“Certo, questi” risponde indicandomi medaglie e quadretti commemorativi “sono tutti i riconoscimenti che ho ottenuto, sono un po’ matto io, lasci stare”

Sguardo al Packard Bell, torniamo al mondo reale.
Mi prescrive un antibiotico coi controcazzi (e via altri brufoli), del cortisone, gargarismi e spray nasale, mi consiglia di sciacquare il naso con acqua e sale, “quella della pasta va benissimo”, e di cambiare l’antistaminico, chiude stampando il tutto e dicendomi di passare per un controllo in ospedale il 10 Aprile all’alba, quando lui inizia a lavorare.

“Mi spiace di doverle dare tutte queste medicine, spero di non averle rovinato la giornata”
“Oh no, anzi. Mi avevano detto che era bravo ma non pensavo così tanto”
“Uff, non dica così che mi imbarazza”
“Buona giornata dottore, è stato un piacere”
“Arrivederci”

Esco e, nell’entusiasmo, saluto l’appuntamento delle nove, una coppia sulla quarantina che risponde con un “Salve”.
Fuori c’è il sole delle ottoetrentotto e un’arietta da metà maggio, mi avvio verso l’ufficio ed il treno dei miei pensieri mi porta a ripensare a quanto appena vissuto.
Sorrido, il treno dei miei pensieri è un modellino, stamattina.