Attaccano.
Sono in quattro, in tre hanno la camicia nera, quello al contrabbasso no. È il più vecchio ma non è d’accordo, per quello indossa una maglietta.
Il trombettista pare sia il migliore di tutta la Grecia. Nel genere, si intende.
Sarà anche il migliore ma il batterista proprio non lo sopporta, continua a scuotergli quell’ovetto-maracas davanti ai piatti e un paio di volte li ha persino colpiti. Come ti permetti? Lascialo a me il ritmo, pensa a soffiare.
Lui è lì, dietro al frigo delle torte, non smette un secondo di osservarli. Ha i capelli e la barba lunghi e bianchissimi, gli occhi che sorridono a ritmo di musica e gli scarponi da muratore.
È il Jazz, li ha portati lui e non smette un secondo di osservarli. Tranne quando gli passa davanti la cameriera che non sembra tedesca, si perde via per un momento e le guarda il culo.
È il Jazz e te lo aspetti, nella pausa ha pure fatto cadere un boccale.
Compare una cantante, fa solo alcuni pezzi ma non ha abbastanza anima, restano comunque in quattro.
Il Jazz lo sa ma sorride lo stesso, guarda il culo anche a lei e lei dice nulla. È il Jazz e se lo aspetta.
Assolo del batterista, dovrebbe entrare il tastierista ma il tastierista non lo sa. Il greco fa un cenno al contrabbassista, entra tu. Non entra nessuno, entrano tutti, ne escono benissimo, il pubblico applaude.
Il Jazz era uscito un secondo a fumare una sigaretta ma è rientrato tra gli applausi.
Il locale è pieno, un posto a sedere potrebbe comunque trovarlo ma non ci pensa nemmeno.
Ritorna lì, dietro al frigo, di lui si scorge solo la punta della testa e quella dello scarpone. Entrambe ondeggiano.
Sai che è scomodo ma sai che sta sorridendo alla musica.
È il Jazz, te lo aspetti.