L’appuntamento

26 ottobre 2020

– Ha un appuntamento?
– Ce l’avevo, non so se sono ancora in tempo.
– Era per oggi?
– Non saprei dire.
– Lei lo sa? La attende?
– Non saprei dire.
– Non diceva di avere un appuntamento?
– Ce l’avevo.
– Si accomodi. Torno subito.

Spiegaglielo.
Spiegaglielo.
Come? Con parole di questo mondo? Si può? Ce ne sono? Sono abbastanza? Sono quelle giuste?
Approssimazioni, divagazioni.
Davvero lo si può spiegare? E, in ogni caso, ascolterebbe? Chi, poi?
Non saprei dire.
Una pila di libri sul tavolo, la finestra aperta sul mare, libri aperti per terra, disordine elegante. Aria che entra. L’attesa.
Ah, l’attesa.
Le tende si agitano delicatamente nella brezza. Danzano col vento incuranti, senza prudenza. Pagine ingiallite e svolazzanti.
Ce l’avevo un appuntamento, sicuro che ce l’avevo, ma poi? Cosa mi aspetto? Cosa aspetto?
Niente, aspetto.
La sedia scricchiola ad ogni mio movimento, è legno stanco e il mio è un peso che si sarebbe volentieri risparmiata.

– Prego, da questa parte.
– Oh.
– Segua il corridoio, porta in fondo. Non può sbagliare.

«Passi echeggiano nella memoria»

Porta che si apre.
Tavolo, libri, tende. Finestra sul mare.

– Ha un appuntamento?
– Non ancora, a quanto pare.
– Mi scusi?
– Non saprei dire.
– Lei lo sa? La attende?
– Non saprei dire.
– Si accomodi. Gradisce un caffé?
– Ora no, grazie. Più avanti.
– Prego, dove preferisce. Torno subito.

Scricchiolio ad ogni movimento, ancora.
Una volta l’ho vista da lontano. Ero fermo al semaforo, guardavo il lago alla mia sinistra e all’improvviso mi ero voltato a destra, verso la piazza. Erano anni, l’ho riconosciuta subito.
Andatura, postura, era distante, molto distante; l’ho sentita conversare anche se non potevo sentirla. L’ho sentita ridere, anche se non potevo più.
Aria che entra.
Colpo di clacson, era verde da un pezzo.

Afferro uno dei libri sul tavolo, ha la copertina viola tutta sgualcita e un’orecchia a pagina sessantatré.
Lo apro proprio lì, una manciata di briciole nascosta tra le pagine, alcune cadono a terra.
Frammenti di guscio di noce.

– Prego, da questa parte.

Raccolgo le briciole e richiudo il libro, rimetto tutto dove lo avevo trovato.

– Sempre dritto, alla fine del corridoio troverà una porta.
– Grazie.

«lungo il corridoio che mai prendemmo»

La maniglia è molto dura, la porta è incastrata. Mi aiuto con una spalla.
Ecco il tavolo, ecco i libri, ecco le tende. Ecco anche la finestra sul mare.

– Ha un appuntamento?
– Sì.
– La annuncio subito, si accomodi.
– Grazie.

Non mi siedo, resto in piedi davanti alla finestra. I gomiti sul davanzale ruvido.
C’è un sentiero che porta al mare, sulla sinistra un vecchio muro di sassi, divorato dal tempo e dalle piante.
Il resto luce.

La bambina fa cadere qualcosa per terra.
Era dietro al tavolo, non mi ero accorto.

– Me l’aggiusti? – mi chiede all’improvviso.
– Che cos’è?
– È il mio giocattolo preferito, è rotto.
– Chi l’ha rotto?
– Io.
– E perché lo hai rotto?
– Ero stufa. Ne volevo uno nuovo ma tutti gli altri non mi piacciono come questo.

Afferro i pezzi e cerco di capire. Non c’è molto che possa fare.

– Mi spiace, temo di non potertelo riparare. E se anche riuscissi, non tornerebbe come prima.
– E perché?
– Qui è spezzato, vedi? E anche questo non funzionerebbe più, è tutto distrutto; non resisterebbe. Ti conviene cercarne un altro.
– Non si può, come questo c’era solo questo.

Raccoglie ordinatamente tutti i pezzi in un sacchetto di tela e me lo porge.

– Tienilo, provaci lo stesso. Poi me lo porti.

Mette le maniglie sulla mia mano, afferra un libro e si mette a leggerlo con la schiena contro al muro.
Prendo sacchetto e impegno e torno al davanzale.

– Prego, da questa parte.

L’appuntamento, giusto.
Mi giro verso la bambina. Dorme.
Faccio un cenno con la mano.

– Eccomi, grazie.
– Porta in fondo, segua il…
– Corridoio, sì.
– Non può sbagliare.

«verso la porta che mai aprimmo.»

Porta che si apre.
Luce.

– Ha un appuntamento?