“Questa lo devi vedere, Vittorio. Di là c’è un tizio che dice che ci può far vincere tutte le partite a patto che lo facciamo entrare al primo minuto e trentadue secondi dell’ultimo periodo di gioco. Non prima né dopo, un minuto e trentadue secondi.”
Nacque così la leggenda di Novantadue, il giocatore più decisivo che la pallacanestro abbia mai visto.
Nessuno sa con precisione quale fosse il suo vero nome, per tutti era ’Novantadue’ perché era quello il numero di maglia con cui scendeva in campo.
Solo un novantadue, nessun nome sulla schiena, così in tutte le squadre in cui era stato.
Si presentò alla Forti e Potenti un Martedì sera di metà Novembre, una mezz’oretta prima del consueto allenamento.
Alto era alto, un paio di metri o qualcosina meno, robusto era robusto, un quintale o qualcosina meno, capelli lunghi e mossi raccolti in uno chignon disordinato, un paio di stivaletti scamosciati, jeans, maglietta nera e un borsone in pelle, che teneva a tracolla.
Sui trent’anni, o qualcosina meno.
“Sei di queste parti? Non ti ho mai visto.” esordì Vittorio, stringendogli con forza la mano e perdendosi nel disordine del suo chignon.
“No, sono appena arrivato in città, sto cercando una squadra e ho trovato questo” -rispose estraendo dalla tasca un volantino stropicciato dell’ultima partita della Forti e Potenti – “mi piacevano i vostri colori.”
“Ah, bene. E in che ruolo giochi abitualmente?”
“Quello che preferite, mi so adattare.”
“Avrai una qualche preferenza…”
“Mi piace come giocava Larry Bird.”
“Non è quello che intendevo ma lasciamo perdere. E questa storia che ci faresti vincere tutte le partite nel quarto quarto?”
“Non ho più vent’anni e ho qualche problema alle ginocchia, però posso risolvervi molte partite semplicemente giocando il quarto quarto. A patto di entrare dopo un minuto e trentadue secondi. Ho scoperto che funziona.”
“E se non riuscissimo a farti entrare proprio in quel momento?”
“In quel caso, non potrei garantire nulla.”
“Ok. Provare non costa niente. Vieni a fare un allenamento e vediamo cosa si può fare. Ci alleniamo anche domani, se vuoi passare.”
“Ho tutto l’occorrente qui con me nella borsa, posso essere pronto anche subito. Ho solo bisogno di qualche minuto per riscaldare le gambe.”
“D’accordo, entra, iniziamo tra un quarto d’ora.” disse Vittorio, muovendosi poi verso il gruppo di dirigenti che attendeva alle sue spalle.
“Questo è pazzo” disse passando, senza fermarsi.
Dieci minuti più tardi, entrò in palestra in calzoncini e canottiera, fece una mezza decina di giri intorno al campo e una serie di esercizi di stretching.
“Lui è nuovo. Si allenerà con noi stasera.” disse Vittorio dopo aver fischiato la squadra a raccolta “Una palla a testa. Scaldatevi.”, e fischiò nuovamente.
In quell’allenamento Novantadue non sfigurò ma non fece nemmeno nulla di sbalorditivo, tranne quando all’improvviso, durante la partitella finale, successe quella cosa.
Si arrivava al ventuno e il punteggio era sul dieci pari, fino a quel momento Novantadue non aveva giocato ed era stato tranquillo seduto in panchina .
“Cambio. Ste, lascia per un attimo il posto al nuovo.”
Prima azione, cinque o sei passaggi e movimenti prima che la palla arrivasse nelle sue mani appena fuori dalla linea dei tre punti, Novantadue sistemò i piedi e in una frazione di secondo lasciò andare la palla verso il canestro.
Solo rete.
Seconda azione praticamente identica, ancora qualche passaggio, ancora la palla che gli arriva fuori dalla linea dei tre punti, ancora solo rete.
Tutto sembrò ripetersi anche nella terza azione, il suo difensore però questa volta decise di pressarlo con aggressività per impedirgli il tiro. Novantadue ricevette palla, sistemò i piedi come per tirare ma, con un movimento rapidissimo, bruciò il suo difensore, prese il centro dell’area e chiuse con una schiacciata a due mani in completa libertà.
La difesa non si era mossa.
Nell’azione successiva, l’ultima della partita, intercettò una passaggio e corse in contropiede in solitaria.
Anziché chiudere al ferro, si fermò al tiro da tre e depositò per l’ennesima volta in fondo alla rete, girandosi poi tranquillamente verso Vittorio.
Ventuno a dieci.
La Forti e Potenti militava a quei tempi in terza serie ed era una discreta squadra di metà classifica.
Avendo avuto un passato glorioso anche in prima serie, era molto seguita e conosciuta in tutta la città, e i giocatori erano molto ben voluti.
Alle partite il palazzetto era sempre pieno, o quasi, e così fu anche il giorno dell’esordio di quello strano personaggio di cui tanto si era bisbigliato.
Si giocava contro la favorita Roccafella, che schierava alcune vecchie glorie della prima serie è un paio di americani grossi ognuno come un paio di italiani di media taglia.
Alla fine del secondo quarto, la Forti e Potenti era sotto di ventisei punti, e le cose non sembrarono migliorare di molto all’avvio del terzo.
“Cosa facciamo, Vittorio, mettiamo il tipo strano?”
“Stiamo perdendo di ventinove, tanto vale provarci. Quanto manca al primo minuto e trentadue?”
“Venticinque secondi.”
“Ok, preparati a chiedere un timeout. QUARTOLI, AL MIO SEGNALE FAI FALLO!”
“Va bene, coach!”
Un minuto e trentadue dall’inizio del quarto quarto, quarto fallo di Quartoli e timeout fischiato alla Forti e Potenti.
Mentre il viceallenatore parlava alla squadra, che lo ascoltava a testa china, Vittorio prese in disparte Novantadue.
“Senti un po’, ragazzo, la partita è andata e quei fottuti americani sono troppo grossi per i miei, vai dentro e prova a fare qualcosa. So che non conosci gli schemi, non c’è stato il tempo, però l’andazzo l’hai visto anche tu.”
“Va bene, grazie” rispose Novantadue, riannodandosi lo chignon un po’ troppo a sinistra.
Ciò che avvenne in quel quarto è ancora oggi argomento di conversazione nei migliori baretti della città, e gira voce che alcuni raccontino questa storie ai propri figli prima di dar loro la buonanotte.
C’è chi sostiene che Novantadue fece più di cinquanta punti in meno di un quarto, chi che prese più di venti rimbalzi, chi che stoppò tutti i tiri della squadra avversaria, chi che tirò col centodieci per cento, chi che gli altri quattro ad un certo punto si fossero seduti in panchina perché convinti che in campo già ci fossero cinque giocatori, un paio di ragazze giuravano addirittura di aver ricevuto il suo numero di telefono durante la partita da lui personalmente, e molto altro ancora.
Quel che è certo è che alla sirena il punteggio recitava più tre per la Forti e Potenti, che lo spogliatoio della Roccafella non era mai stato così silenzioso nella sua storia e che gli spalti del palazzetto non erano mai stati così su di giri.
Nell’euforia generale, Novantadue sgattaiolò al bar del palazzetto con due borse per il ghiaccio in mano.
Erano tutti talmente concentrati sul raccontarsi a vicenda la vicenda da non accorgersi della sua presenza.
Tutti tranne un bambino che si avvicinò per parlargli.
“Ma perché giochi con il novantadue?”
“Perché il quattordici non mi piaceva.”
“E perché hai le borse del ghiaccio?”
“Per le ginocchia, mi fanno male.”
“E come ti chiami?”
“Non ti piace Novantadue?”
“Ma Novantadue non è un nome, è un numero..”
“Non se lo pensi come parola” disse dandogli un buffetto sulla testa e tornando verso gli spogliatoi.
Gli allenatori lo trovarono qualche minuto più tardi in un angolo del campo, era seduto a terra con le borse del ghiaccio sulle ginocchia.
“Non funzionano più benissimo, ve l’avevo detto” disse al gruppo in avvicinamento.
“Questo è pazzo” sussurrò Vittorio, e gli tese la mano per aiutarlo ad alzarsi.