«Poco dopo il molo, vedi un piccolo parcheggio in ghiaia, due o tre grossi cipressi fanno la guardia a una panchina su un terrazzo dal quale parte una scalinata moderna e curata. Scendi.
Segui uno dei camminamenti in cemento previsti dall'architetto, lasciandoti alle spalle l'area del chiosco già predisposta per i futuri gestori e la gigantesca panchina in legno che la fronteggia.
C'era un albero che non c'è più, sotto incontravi alcuni anziani del paese. Si mettevano lì perché c'era ombra e al sole si chiacchiera meno volentieri, dopo una certa età.
La spiaggia era sassi e silenzio. Una delle ultime, non ha resistito. Hanno tolto l'albero, hanno tolto le barche, hanno tolto gli anziani, hanno piantumato del verde, hanno aggiunto parti di pavimentazione in legno, cemento e ghiaia, hanno messo catene e cartelli. Metteranno la musica.
Davanti a te l’altra sponda, spiaggie altrettanto attrezzate e il sole tramonta comunque ancora presto.
E il lago, il lago resta a guardare chiedendosi quando toccherà a lui essere concesso; è fermo e scorre in tutte le direzioni possibili. Correnti insidiose, non ti fidare mai troppo del lago. O di chi lo recinta.
Prendi per il condotto del vecchio scarico, ora reso passaggio gradevole, sbuchi nel paese. Attento alla testa quando esci: è comunque ancora più basso rispetto a quando entri, soprattutto per uno della tua altezza.
Sali tra le vie, sono ripide e strette, e se cammini piano senti pezzi di vita. Parlano tutte le lingue del turismo. Ulciatél, se hai fortuna.
Punti alla chiesetta di San Rocco. È indicato. Segui poi per la casa di Margherita Girasole, la piccola Cleopatra oramai grande, e poco prima prendi il sentiero alla tua destra. Costeggia le baite sopra la statale, tra gli ulivi. Guardi alla tua destra: il sole al tramonto, le auto in coda, il lago oro e le barche sagome indistinte che spariscono nei riflessi.
Qui è dove sono cresciuto. Ti ci avrei portato volentieri ma non so se ci voglio ritornare..»